Il simbolismo di Giano Bifronte e l’identità dell’Accademia Castrimeniense
“Ecce Ianus!”
La latinità arcaica si propone come un elemento originario e originante nella tessitura del filo della cosiddetta Tradizione Primordiale, presente nelle grandi culture di quelle civiltà primigenie che fondano il pensiero umano negli archetipi simbolici e linguistici i cui tracciati sono quelli dove avviene e accade tuttora il nostro camminare. Tali percorsi sviluppano e veicolano quell’esperienza conoscitiva aurorale dell’umanità delle origini che giunge a noi come “Scienza Sacra” o “Philosophia Perennis”.
Il Lazio preromano si propone, a questo livello, con un fondamentale elemento simbolico che trova corrispondenze in altri grandi contesti tradizionali ma non ha somiglianze reperibili altrove, quello di Giano Bifronte. E’ dunque un simbolismo originale, che conferisce alla zona dei Castelli Romani (e a Marino in essa) una specifica, inconfondibile e misteriosa identità storico-culturale.
Giano, in quanto simbolo della manifestazione ciclica, è la forma del tempo cosmico nella sua dinamica essenziale: apertura e chiusura, inizio e fine, contrazione ed espansione, inspirazione ed espirazione, sistole e diastole, nascita e morte, disvelamento e rivelazione.E’ dunque la ciclicità di tutte le cose, il ritmo ciclico delle forme dell’esistenza e dell’esperienza, ad avere in Giano un’espressione simbolica tra le principali: rappresenta cioè la fondamentale idea metafisica del principio del tempo non soggetto al tempo, l’eterno principio creatore che presiede la formazione, la trasformazione e la dissoluzione delle cose e degli stati della coscienza, che sostiene e determina, appunto, il ritmo ciclico della manifestazione universale. Ma la nostra civiltà si dice cristiana. E abita l’età della tecnica. Si considera avanzata, almeno dal proprio punto di vista. Un mito di salvezza, di senso, di significato, di verità, di valore, nell’universo degli apparati tecnici che si limitano a funzionare e hannosolo bisogno di qualcuno che li faccia funzionare. Pensa che il tempo sia un automatismo lineare progressivo della storia, in cui ogni novità è un passo avanti che fa di tutto il resto un passato superato, perché la storia è miglioramento. Forse non è vero. Forse la novità è solo un cambiamento, forse ogni storia ha la sua essenza nel principio che, entropicamente, si svela alla fine, ma in questa sede lasciamo la storia agli storici.Giano è dunque un simbolo, quindi l’apertura di un percorso di ricerca, una silenziosa interrogazione sul senso dell’esistenza e sulla verità dell’essere.
Ma la verità dà spazio ad ogni creazione di significato senza mai lasciarsi comprendere in essa, sottraendosi cioè da ogni determinazione epocale; questo fa sì che l’eccedenza veritativa del simbolo si riproponga nel momento storico dell’esaurimento dei valori e dei significati cui aveva dato luogo: un mondo si estingue nel dissolversi della sua identità storico-culturale, delle risposte date alle domande che lo generarono.
Questa è la crisi esistenziale che spinge alla tensione dell’attesa mitopoietica, quella gravidanza interiore che manifesta, sotto forma di “opera d’arte”, la verità dell’essere come eccedenza simbolica, come alterità che irrompe nello spazio chiuso di un tempo esaurito e apre una finestra poetica indicando un’oltre.
Tutto questo non è che una piccola apertura su di uno spazio immenso, un repertorio di esperienza e conoscenza la cui tradizione si perde nella notte dei tempi e muove da aurore sfuggenti alla mentalità moderna ove la conoscenza non è esperienza di trasmutazione di sensi e sentimenti, l’estetica in senso stretto, ma è funzione di controllo e imposizione di dominio. Che non esistono. Il vissuto artistico è la prima linea della notte che attende i segni dell’aurora, la verità dell’essere che si ripropone oltre la storia tragica della volontà di potenza,oltre la spirale alienante e distruttiva di quelle illusioni mentali che sono la morte, il potere e il denaro.
La bellezza può salvare il mondo perché può liberare il cuore dell’uomo dal peso di tali illusioni: su questa consapevolezza deve fondarsi la responsabilità dell’attività culturale in un contesto ove la domanda di senso è dolorosamente soffocata dall’induzione ai consumi e la persona è alienata dal delirio dell’apparenza. Spesso, in passato, il genio era un solitario imbecille perché incompreso – e questo era un segno dei tempi. Ma troppo spesso, oggi, un imbecille diventa un celebrato genio perché osannato – e questo è il segno dei tempi.
Sottaciuto ed emarginato, il bisogno di senso chiama ad una testimonianza chiara ed inequivocabile; e così come il simbolo di Giano esprime la consapevolezza che ogni inizio, un principio, sia un fine e porti con sé la propria fine, e che è proprio la fine a svelare l’inizio, il principio e il fine, bisogna dichiarare la fine di ciò che è già finito, salvare ciò che va salvato poetandolo come principio di un’altra storia.
“Vigilate, perché non sapete come e quando la verità vi parlerà. Chi avrà orecchie da intendere intenderà e non conoscerà la morte”. La scelta di Giano rimanda a tutto questo e, per questo, oltre. E che l’Accademia possa diventare il giardino silenzioso dove attendere questo ascolto.
Vito Lolli